Appunti di viaggio – Roma/Firenze in treno

Eikon vs Logos –

Foto Elliot Erwitt - Camera 21
Esempio di percorso visivo realizzato da Patrizia, 10 anni, sulla nota fotografia di Elliot Erwitt scattata a Kissimmee, Florida 1997.

Recandomi in treno a Firenze in compagnia di mio nipote Filippo, ci imbattiamo nella conoscenza di una signora napoletana e di suo figlio.
La signora maneggia nervosamente il telefonino, sbuffa, brontola, toglie e mette gli auricolari, di tanto in tanto dal dispositivo “scappa” una musica melodrammatica a volume alto.

Chiede ripetutamente soccorso al figlio, che diligentemente sta svolgendo i compiti.

Il ragazzo, sfastidito ma sempre educato, le risponde ”Mamma già ti aiuto ogni giorno per la scuola!” Capisco che la signora è un insegnante, non resisto e le rivolgo la parola, insomma attacco bottone.

“Vorrei mettere le fotografie in sequenza con questo sottofondo musicale, capisce? Cerco di fare un montaggio.” Mi risponde e aggiunge “ Sente che bella questa musica?” La sento.

E’ un’insegnante di italiano e matematica della Scuola Primaria, “ma signora” mi dice, “ora cambio scuola perché il Dirigente vuole togliere ore di insegnamento all’italiano per fare IMMAGINE mi capisce? IM-MA-GI-NE, ma lo sa Lei cosa vuol dire? Colorano, scarabocchiano, dipingono e poi non sanno scrivere in italiano! NON SANNO SCRIVERE IN ITALIANO lo dicono anche i professori universitari, lo sa Lei?” Lo so.

La conversazione si scalda, la maestra è furibonda ed io timidamente cerco di capire meglio a cosa corrisponda questo insegnamento denominato IMMAGINE alla scuola primaria.

Da anni realizzo progetti nelle scuole per sensibilizzare i bambini e le bambine alla fotografia, al suo linguaggio così “parlato” oggi e grazie al quale, tutti proprio tutti possono comunicare, parlo loro della sua invenzione e di come molte cose dopo sono state diverse per sempre.

I bambini anche piccoli, grazie a semplici esercizi capiscono velocemente che La Realtà non esiste, che ognuno di noi ha un punto di vista su ciò che vede che è personalissimo. Sono una fotografa e amo le fotografie. Vado nelle scuole a parlare con gli adolescenti, adorano la fotografia e mi piace moltissimo mostrare loro il banco ottico, la macchina fotografica antica, come la chiamano loro. “ Quanto tempo ci vuole per fare una fotografia con questa?” mi chiedono. Allora rispondo che occorre tempo e pazienza, che bisogna scegliere bene il soggetto e misurare la luce e che malgrado l’attenzione prestata si sbaglia facilmente, che all’errore non si può rimediare subito. Insomma la materia è immensa ed io penso da anni che i ragazzi debbano ricevere un’educazione alla decodificazione ed interpretazione delle immagini: siamo davanti alla prima generazione, dall’invenzione e diffusione della scrittura, che utilizza principalmente le immagini nella comunicazione interpersonale.

Sono convinta di questo e tuttavia non so come trasmetterlo alla maestra.

Nel frattempo Filippo, mio nipote/personal trainer in linguaggio e tecnica dei videogiochi e Alfonso figlio/personal trainer di linguaggio e tecniche digitali della maestra, si scambiano informazioni sugli ultimi giochi in commercio. Parlano fitto fitto una lingua a noi incomprensibile. Sembrano molto competenti. Ascoltiamo lungamente in silenzio.

Penso al libro di Eugeni “La condizione postmediale” e in particolare al capitolo “La condizione postscolastica”, qui si legge dello studio commissionato allo studioso Henry Jenkins dalla McArthur Foundation sulle trasformazioni che i “digital media” stanno portando ai sistemi educativi e soprattutto alle competenze richieste ai cittadini di domani. Le nuove competenze necessarie, che copio dal testo, sono: la capacità di affrontare i contesti di vita in chiave sperimentale e creativa come forme di problem solving, anche adottando identità fittizie e costruendo modelli dinamici e interattivi di mondo, l’abilità di appropriarsi di oggetti mediali e fonti informative in modo critico, navigando su differenti piattaforme, per farli propri e rimodellarli, disseminare quindi il risultato del proprio lavoro; capacità di agire diversi compiti contemporaneamente, di interagire oggetti tecnologici delegando ad essi parte dell’elaborazione cognitiva, capacità di lavorare con altri soggetti in forma cooperativa, individuando e rispettando le diverse prospettive e norme”.

Filippo e Alfonso sono già capaci di integrare tutte queste abilità e assumono, nei nostri confronti, il ruolo di mediatori culturali. Ne sono affascinata e sulla scia della lettura del libro di Eugeni domando loro cosa ne pensino del film “Hardcore” uscito nel 2015 e annunciato come l’evento cinematografico capace di “rivoluzionare” ancora una volta il linguaggio cinematografico. Il film usa il linguaggio dei videogiochi ma è vietato ai minori di 14 anni. Filippo deve ancora compierne 13, ma risponde “la storia una schifezza zia, sai è girato con la go-pro, lo one person shot è anche reso bene, ma allora proprio per questo super – frustante non poter intervenire sull’azione!” “Hai perfettamente ragione “ incalza Alfonso.

“Lo one person cosa?” domanda la maestra.

©Simona Filippini